Edward

mani di forbici ghiaccio

Sentivo quelle mani così estranee al mio corpo,
così dissimili dalla mia indole pacifica.
Dovevo essere molto attento a non farmi tagliare,
con un gesto un sussulto del corpo, le loro lame
erano più affilate della lingua biforcuta di certe donne.
Il mio padre e creatore ha raggiunto i verdi pascoli,
e solo me ne sto in questa annerita torre,
a scrutare il muro di cinta, di questo mio isolato dominio…
Beato me ne stavo a potar cespugli e a far fiorir le rose,
quando un buon dì suonò la porta una eccentrica signora.
Ero col vestito buono,
non ancora tagliuzzato dalle mie fastidiose armi, ma
che lo fossero non me lo sarei sognato. Son state loro
e i cittadini, un popolo spietato che mette la cattiveria
nella differenza esistenziale, non sa quale sofferenza
sia per me, non poter abbracciare. Accarezzare
il volto delicato e specchiarsi negli occhi
che han le finestre aperte all’infinito.
Questa mia vista donerei
per essere guardato da colei, che la vita mi ha rapito.
Ciocca sotto ciocca, taglio e svelo le apparenze, accorcio
le distanze li accolgo nelle mie stanze. Divorato dal fuoco
dell’odio che ha offuscato ogni mio sforzo, per essere
loro in grazia, preferisco avvolgere i miei ricordi,
e nel rogo di questa mia dimora prendere le fiamme
per la coda. Uscire da questo mondo, incenerendo
le loro teste. Ma, l’amore che sa come porgere un gesto
di comprensione, ti prende per mano proteggendo
la tua paura. Il coraggio non mi manca, le dico
mentre sotto il porticato, il branco urla la sua indignazione.
Devo morire per restare vivo, e come son venuto al mondo,
solo su un tavolo freddo, ghiaccerò la tenue primavera
che ha colorato i miei pensieri. Sarò re del mio giardino
nell’attesa che quel trono di gelsomini sempre fioriti,
siano pronti all’arrivo della mia regina e liberi dalla brina.

ViolaNerapoetry